- raccontato da Livia Portolan | 1919
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Provincia di Roma - Per la memoria | 26/08/2011
Livia è arrivata ad Auschwitz il 4 giugno 1944, quando a Roma entravano gli alleati. Arrivata è stata spogliata, rasata, tatuata e poi ha cominciato a lavorare. Uno dei lavori era spezzare e battere la ghiaia per fare la maccaroni strasse, perché gli italiano venivano chiamati così, quando non venivano chiamati scheisse. Altro lavoro era portare i morti della baracca al forno crematorio. Altro lavoro era andare in campagna a sette chilometri marciando al suono di Rosamunda, canzone che Livia odia: capitava di scavare una buca per poi richiuderla. Poi c’erano le punizioni: una volta sbagliarono il conto dell’appello al rientro e le donne della baracca rimasero in piedi fuori tutta la notte ed era il 30 novembre. Un’altra volta Livia fu costretta a rimanere 12 ore in piedi davanti al filo spinato con l’alta tensione. La cosa scioccante comunque era stato l’arrivo: i cani, le file per la selezione, i colpi di frusta e di bastone. Se le madri non volevano lasciare i bambini venivano mandate alla camera a gas insieme a lui. Livia ricorda una scena che evidentemente ha ispirato il film La scelta di Sophie. Una volta arrivate alla baracca, si dormiva in tre o quattro sullo stesso letto a castello, la coperta non bastava a coprire tutte e allora si facevano i turni per il posto centrale che era quello più caldo. Ricorda una donna che si è buttata verso il filo spinato (altra cosa che ha ispirato una scena di Kapò), è morta fulminata ma è morto fulminato, con gioia di tutte, anche il cane delle SS che la inseguiva. Andare in infermeria significava morire. La sorella di Livia fu portata in infermeria ma è riuscita a salvarsi grazie all’aiuto di una dottoressa francese.
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