Rosario Militello 5/7 – La vita del campo

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  • raccontato da Militello Rosario | 1925
  • caricato da Provincia di Roma - Per la memoria | 26/08/2011
La sveglia era alle quattro del mattino, restavano in piedi al freddo per ore in attesa della destinazione quotidiana per il lavoro. Una mattina il gruppo di Rosario venne portato alla scala della morte. È una cava da cui bisognava risalire portando sulle spalle una grossa pietra da 30 o 40 chili. Erano 186 gradini l’uno diverso dall’altro che andavano a restringersi. Molti cadevano portandosi dietro quelli che stavano dietro. E cadendo le pietre ferivano o uccidevano. Qualcuno arrivato in cima si buttavano dall’alto per smettere di soffrire. I tedeschi lo chiamavano il lancio del paracadute. I morti e i moribondi bisognava portarli via. E’ capitato anche a rosario che aveva solo 19 anni e mai avrebbe pensato che si potesse fare tanto male ad altri. Dopo una ventina di giorni Rosario è andato a Gusen2 che veniva chiamato il tritavite per la pesantezza del lavoro. A Gusen2 la sopravvivenza era di un paio di mesi. E c’era una camera dove venivano accatastati i morti in attesa di essere portati al forno crematorio a Gusen1. Il lavoro era in fabbrica di armi e le fabbriche erano state trasferite sottoterra, in gallerie. I prigionieri venivano chiamati stucche significa pezzo.
Il cibo era una fetta di pane la mattina prima di entrare in galleria; la sera c’era una zuppa. E ad ogni uscita dalla fabbrica si contavano i vivi e i morti durante il turno di lavoro. E i conti dovevano tornare. La zuppa veniva cucinata nei fusti della benzina. Quando la guerra volgeva al termine e i prigionieri aumentavano sempre di più, i tedeschi avevano escogitato un nuovo modo per l’eliminazione: in un uno dei tre bidoni della zuppa, scioglievano un farmaco che faceva venire la dissenteria e si moriva. Rosario si è salvato perché il suo compagni di letto, un russo, lavorava nelle cucine e lo avvertiva quando scioglievano il farmaco ma non riusciva ad indicare il bidone e Rosario quel giorno non mangiava. L’altro modo era l’infermeria: praticavano una iniezione di benzina o di nafta e il malato moriva. E poi si cominciò ad avere notizie dai russi che andavano a lavorare fuori dal campo, che gli americani erano vicini.
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