La Provincia, fortemente insoddisfatta della impossibilità di realizzare il disegno di estinguere l'Opera Pia, ovviò al diniego del ministro della sanità stabilendo un convenzione con l’Opera Pia. In tal modo non si interrompeva il nuovo corso dell’assistenza psichiatrica, dovendo comunque dare una normativa e una protezione agli operatori manicomiali che lavoravano sul territorio. La settorializzazione prevedeva la ristrutturazione del manicomio con la creazione di quattro accettazioni miste (maschi e femmine) una per ogni settore e la trasformazione dell’ospedale di via Giulio in istituto psichiatrico geriatrico. Venne quindi deciso il trasferimento dei pazienti geriatrici dai quattro grandi ospedali psichiatrici della provincia. Fu un'operazione delicata e pericolosa fatta in modo affrettato, non tenendo conto dello stato e delle esigenze dei pazienti che subirono sofferenze inutili ed evitabili. Crosignai ne ripercorre lo svolgimento e analizza le cause dell'insuccesso. Nel frattempo, nel 1970, scoppiò lo scandalo di Villa Azzurra, manicomio infantile. A seguito dell'attività ispettiva presso quella struttura di una commissione di tutela costituita da tre rappresentanti della Associazione per la lotta contro le malattie mentali guidata dalla Dottoressa Piatti, accettata e autorizzata dalle autorità, venero portate all'attenzione pubblica le miserevoli condizioni in cui erano tenuti i bambini ammalati. La pubblicazione di alcune foto di bambini contenuti e sofferenti produssero effetti dirompenti nell'opinione pubblica. Crosignani ricorda ancora altre distorsioni della vita manicomiale, tra cui l'impiego dell'elettroshock da parte di uno psichiatra dai tratti sadici, che per anni aveva terrorizzato i malati in manicomio. Questi fatti furono portati alla conoscenza dell'opinione pubblica da parte di numerosi e importanti giornalisti creando un ulteriore scandalo. Il responsabile venne condannato in primo grado a cinque anni di carcere ma per un cavillo giuridico il processo fu invalidato e trasferito al tribunale di Milano che non lo celebrò mai. Diversi anni dopo, nel 1977, furono i militanti di Prima linea che in un agguato ferirono il medico compiendo, secondo quanto venne pubblicizzato dai loro volantini, un atto di "giustizia proletaria".
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